Noi esseri umani abbiamo questa capacità di capire le cose a distanza. Non è una questione di messa a fuoco, ma di quadro di insieme, di rapporti tra gli elementi. Il famoso passo indietro, che non è solo allontanarsi ma è anche fermarsi sul posto e aspettare. Io sono sempre stata un’impaziente, quando qualcosa non andava bene dovevo subito muovermi per risolverla immediatamente, che fosse la tinta sbagliata o un’amicizia incrinata. Un’urgenza incredibile di riprendere in mano le cose, nonostante fossero ancora calde. Ho imparato tardi che bisogna lasciarle raffreddare, gli anni addosso me l'hanno insegnato lentamente, poi sono stati decisivi i nove mesi di attesa per conoscere mio figlio. Un’attesa immensa e necessaria sulla quale non avevo nessun controllo, se non portare pazienza. E tanta immaginazione.
Dicono che i bambini annoiati siano anche quelli capaci di maggior creatività. Gli spazi vuoti stimolano la fantasia, le mille possibilità di riempirli. Si può giocare con una carta di caramelle per ore. Mi vengono in mente quegli spazi interstiziali come le sale d’attesa. Il fatto che la destinazione d’uso di uno spazio sia l’attesa, l’attesa che succeda qualcosa di rilevante, già mi fa andare in cortocircuito. Io penso siano dei grandi momenti di respiro tra la vita, e delle occasioni per sentirsi più vicini agli altri. Per guardarsi ad esempio, scambiare due semplici parole che per qualcuno rappresentano tutto. Magari il nostro commento sul meteo alleggerisce la tensione di un signore che sta aspettando un esito complicato. Il nostro sorriso incoraggia una bimba preoccupata per la sua mamma. Spesso ci dimentichiamo di quanto possiamo fare, con poco, per gli altri.
C’è questa poesia, Small Kindnesses di Danusha Laméris (grazie Franco per la segnalazione) che inizia così:
“Stavo pensando al modo in cui / quando si cammina lungo un corridoio affollato / le persone tirano le gambe per lasciarti passare. / O a come gli estranei dicano ancora “Salute!” / quando qualcuno starnutisce”.
Com’è bello quando la signora in coda davanti a noi ci cede il posto, o quando qualcuno ci tiene aperta la porta del bar, oppure quando un passante ci aiuta a raccogliere le chiavi da terra. Fugaci momenti luminosi dentro le giornate, che per un attimo ci fanno sentire così vicini gli uni agli altri. Poi tutto torna a scorrere come prima e presto ci dimentichiamo di quel gesto gentile. Che fosse il momento più bello della giornata? Che fosse quello il senso della giornata? Secondo Laméris questi attimi di scambio sono dei templi estemporanei che creiamo insieme all’altro con queste poche sacre parole: “Prego”, “Grazie”, “Vai avanti tu”, “Prendi il mio posto”. E la maggior parte delle volte questi gesti e queste parole nascono spontanei come se fossero delle reazioni a un’azione, puro istinto. Quindi sì, alla sesta uscita di Morbido mi sento di dire che la gentilezza è ciò che ci rende umani, uniti, compresi. Annulla gli spazi tra le persone, colma le distanze, riempie le attese.
“Mi sono accorta che per alcune cose sono loro stesse a darti il giusto tempo e non viceversa, a volte non è semplicemente ancora il loro momento, tutto qui. Ma se ci si concede il tempo di aspettarle, a un certo punto quel momento arriva e si scopre che l’attesa è valsa la pena”. Malvina Monteggia, autrice di Mimatic, ha un punto di vista luminoso, raro e prezioso. Come ogni minuscolo mondo che crea con le sue mani, i suoi “Gioielli selvatici”.
Partiamo da lontano: le radici. Qual è il terreno in cui le tue radici trovano tutto quello serve loro per crescere?
La voglia di scoprire, di conoscere. È il mio motore, ciò che mi muove, è la voglia di sperimentare, tentare e -perché no- anche sbagliare. Ma è solo seminando che le radici possono crescere. Sono fondamentali anche le contaminazioni verso ambiti diversi da quello di partenza, le nuove conoscenze e il confronto con persone che vivono mondi e punti di vista diversi dal proprio. Crescere è cambiare e trasformarsi.
Hai un forte legame con la natura e i suoi elementi. È la tua fonte di ispirazione e il tuo linguaggio. Come si è evoluta nel tempo questa relazione?
Sono nata e cresciuta a Milano ma ho avuto la fortuna di trascorrere molte estati della mia infanzia in un luogo dove il contatto con la natura era molto presente. Giocavo tra le balle di fieno, raccoglievo semi, li conservavo e li classificavo accuratamente in attesa dell’anno successivo. Osservavo il brulicare della vita nel terreno, curavo, vedevo crescere e raccoglievo i frutti concessi dal tempo.
C’è poi stato un periodo in cui mi sono allontanata da tutto questo e la città e il suo cemento mi hanno assorbita. Mi sono concentrata sullo studio e poi sul lavoro e così ho perso per un po’ questo contatto. A un certo punto è accaduta una cosa splendida: ho iniziato a vedere. O forse sarebbe più corretto dire ri-vedere perché in fondo ho sempre avuto tutto lì davanti agli occhi.
Sembra una magia. Raccontaci com’è successo.
Ho iniziato a notare dei piccoli cambiamenti quotidiani sula solita strada che percorrevo per andare al lavoro. Le erbacce e le piante che si arrampicavano tra le crepe di un muro. I papaveri in attesa del passaggio a livello abbassato. La buddleja che spuntava da spiragli di infiniti cantieri. Le graminacee, le siepi a bordo strada, le foglie cadute ai piedi di un albero, un’ortensia che non era stata potata e i cui fiori seccati avevano visto l’inverno intero e poi una nuova primavera. Angoli di natura che sembrava vivessero in un tempo tutto loro, che scorreva secondo una velocità così diversa dalla mia. Ho imparato a osservare quel che avevo intorno, a scoprirlo nelle sue fasi di trasformazione. E presto è diventata la mia dimensione preferita.
Qual è il giusto tempo del tuo approccio creativo?
È quello che associo alla lentezza del creare, alla necessità che richiede il lavoro artigianale per arrivare al meglio della sua espressione lasciando spazio all’impronta di chi ci mette concretamente le mani. A volte, quando si sta troppo su qualcosa, si finisce in un certo senso per perderla di vista, mentre il riuscire ad allontanarsi può far tornare al vero focus e portare a nuova consapevolezza. Mi sono accorta che per alcune cose sono loro stesse a darti il giusto tempo e non viceversa, a volte non è semplicemente ancora il loro momento, tutto qui. Ma se ci si concede il tempo di aspettarle, a un certo punto quel momento arriva e si scopre che l’attesa è valsa la pena.
In un post scrivi “trovo che ridurre sia molto più difficile che aggiungere poiché occorre prendere decisioni, selezionare, dare priorità e soprattutto essere pronti a lasciar andare qualcosa. Ma l’essenziale ha un particolare e splendido equilibrio, tutto suo.” Cosa ti trovi a lasciar andare quando crei l’essenzialità dei tuoi gioielli?
In senso concreto ed estetico mi trovo sempre più a lasciare degli spazi vuoti, aria che permetta respiro e allo stesso tempo dia risalto all’elemento botanico. A un livello più di concetto e di processo mi sono accorta che sto lasciando andare l’idea classica della “bellezza”: i fiori sono l’elemento più bello della pianta, la parte attrattiva, ciò che deve essere più evidente anche una necessità evolutiva. Ho lasciato scivolar via questa visione, sostituendo all’elemento più appariscente e simmetrico quello più semplice e imperfetto. Accolgo l’errore, lo scarto. Le erbacce e le piante ormai secche si caricano di valore diverso e più profondo.
C’è un fiore o una pianta, o un dettaglio botanico che ha un significato particolare per te?
Anche troppe! Molte piante mi ricordano situazioni, luoghi o momenti personali e significativi. Ma se vogliamo parlare di un senso più ampio… beh sono sicuramente le radici. Perché quanto per un fiore è facile essere affascinante e perfetto, tanto è difficile coglierne la bellezza e la forza nascoste, tutto quel che “resta” ma che è indispensabile alla sua crescita. Le radici sono l’elemento più simbolico e potente di questo splendore nascosto, sono elementi che si trovano nel terreno, fuori dalla vista, ma allo stesso tempo fondamentali alla pianta e alla sua esistenza. Sono sviluppo, connessione, portatrici di vita, di magia.
Che cos'è per te la gentilezza?
È una delle poche cose ancora gratuite. Qualcosa che possiamo donare, a chiunque, senza avere niente in cambio, solo per la semplice bellezza di portare un sorriso. Spero sempre che gentilezza possa portare a nuova gentilezza e a un mondo, anche solo di un poco, migliore.
Zollette
Piccole dosi di gentilezza
La natura, la madre di tutti i suoni, non è mai stata ripagata per il suo contributo alla musica. Eppure, ha un disperato bisogno di fondi per salvare i suoi ecosistemi più precari. Il progetto Sounds right è a dir poco geniale!
Female Poets Society : è una community che valorizza le voci delle donne, siano esse in forma di interviste, poesie, discorsi o stralci di romanzi. La poesia “Small Kindnesses” arriva da lì, letta e interpretata dalla stupenda Helena Bonham Carter.
Anche se ha ben 26 anni, ogni volta che rileggo il manifesto incompleto per la crescita di Bruce Mau mi vengono nuove idee. Un pezzo di design da tenere sempre in tasca (e in mente).
Belle parole
/Flâneur/
È un termine francese reso celebre da Charles Baudelaire e significa “girovagare piacevolmente senza meta, senza fretta e osservando il paesaggio.” Godersi la strada senza aspettarsi niente.
Grazie per avermi letta fino a qui. Ti auguro una bella domenica.
A presto
Valentina
Aspettare la domenica per leggerti è gentilezza e riempie un vuoto che qualcuno può avere nell'anima.Grazie Valentina