Questa settimana, ahimè, è stata tutt’altro che morbida. Il rientro al lavoro, un inserimento di mio figlio al secondo anno di nido che è stato quasi peggio del primo, la sua festa di compleanno e tutte quelle altre cose che riempiono la mia giornata così tanto che dormire diventa d’intralcio. Penso che qualcuna/o di voi conosca molto bene questa sensazione.
Comunque non sono qui per lamentarmi ma per dire che per un attimo - forse un po’ più di un attimo - ho pensato di saltare questa domenica e rimandare l’invio di Morbido al prossimo weekend. Ma è così che comincia la strada verso il declino, almeno per quanti mi riguarda. Ti distrai un momento e inizi a perdere il ritmo, poi cerchi di riprenderlo ma peggiori la situazione e alla fine mandi tutto all’aria. Come quei video di tizi che stanno per scivolare in piscina e fanno mille contorsioni ma poi ci cadono comunque facendosi anche molto male. Forse sono leggermente catastrofica, sta di fatto che la mia costanza ha bisogno di queste sollecitazioni per non mollare.
Più di una volta ho scritto che l’osservazione è una componente fondamentale delle gentilezza. Mi capita spesso di essere catturata da alcune situazioni a cui assisto, attimi che sembrano durare un’infinità tanto è il valore che percepisco quando li osservo. Succede soprattutto mentre sono in viaggio: immersa in un posto sconosciuto, i miei sensi sono all’erta e scene semplici, quotidiane, mi restano impresse nella memoria per molto, molto tempo. A volte ho come la sensazione che il mio cervello scatti una fotografia, tanto sono nitidi i dettagli che ricordo di quel momento. E magari allo stesso tempo la persona che è con me in quel viaggio non si ricorda assolutamente niente di quello stesso evento. Queste scene di cui sono spettatrice capita che inneschino una storia, nella mia mente. Prendo appunti nel mio minuscolo taccuino, ed eccolo lì: un attimo che diventa tutto.
Nel cuore dell’Alentejo, la regione centro meridionale del Portogallo, sorge Èvora, un borgo in pietra che assorbe e rilascia calore, come un grosso animale affannato. Le facciate delle case sono per lo più bianche, con strisce color ocra che ne incorniciano le finestre e percorrono le mura dalla base fino a mezzo metro da terra. Di notte la luna è così vicina che incombe sulle piazze, nelle strade, inonda di luce i tavolini dei bar. E così di giorno il sole assedia le vie acciottolate. Grondante di sudore in quel pomeriggio di agosto, cercai refrigerio nell’ombra rotonda di un ombrellone fuori da un bar.
Li vidi arrivare da lontano, le sagome tremolanti nell’aria cocente che saliva dalla strada: un nonno col suo nipotino. Camminavano piano, incerti, tenendosi per mano, che non capivo chi dei due portava l’altro. Giunti sulla soglia del bar l’anziano si fermò a prendere fiato mentre con estrema lentezza estraeva il portafogli dalla tasca posteriore dei pantaloni flosci, stretti in vita da una cintura con troppi buchi. Indossava una camicia bianca a mezze maniche ben stirata e così leggera che sotto si intravedeva il profilo della canottiera di cotone. Ricordo di essermi chiesta chi si occupasse di tenere così puliti e in ordine i suoi vestiti.
Il bimbo era basso, mingherlino, addosso una maglietta rossa scolorita da troppi lavaggi, o troppi pomeriggi così. Con gli occhi enormi e neri fissava l’anziano spostando il peso da un piede all’altro, ma avendo cura di rimanere vicinissimo a lui.
Dalle porte spalancate del bar sentii stralci di conversazione in portoghese, erano clienti abituali. Dopo aver ordinato, i due si sedettero al tavolo, l’anziano curvo su una tazza di caffellatte che beveva a piccoli sorsi, il bambino con i piedi a penzoloni e un grosso cono gelato tra le mani. Restarono così per un bel po’, uno di fronte all’altro in silenzio. Il frigo dei gelati ronzava, il ventilatore cigolava, le mattonelle del pavimento erano rotte in più punti e le sedie spaiate avevano il vimini sgualcito. Eppure, pensai, per quel bimbo poteva essere il posto più bello del mondo e il momento più felice della giornata, magari addirittura della settimana. Quell’incontro che aspettava con trepidazione guardando l’orologio sul piano della cucina e che per tutta la strada, da casa fino a lì, lo animava di aspettativa. Una gioia che teneva stretta dentro perché sapeva di non poter saltellare o camminare veloce, altrimenti il nonno avrebbe perso l’equilibrio. E quando intravedeva da lontano l’insegna del bar tratteneva quella voglia di precipitarvisi correndo a perdifiato tipica dei bambini, ripetendosi in testa: fragola, pistacchio e amarena. Ogni ciottolo che calpestava un gusto che ricordava. E dopo aver pronunciato a voce alta la sua scelta di fronte al banco dei gelati, aver stretto tra le mani l’anelato cono ed essersi arrampicato sulla sedia, cercando di non perdere nemmeno una goccia, si abbandonava a quella sensazione di completezza che solo i pomeriggi lenti d’agosto sanno dare.
Zollette
Piccole dosi di gentilezza
APRI è un progetto di racconti per corrispondenza. Ogni busta contiene un racconto autoconclusivo scritto da un’autrice o un autore differente.
Diffuso fin dalla preistoria, prima adoperando conchiglie, ossi e pietre, e poi terracotta, legno e metallo: il sonaglio è il gioco più antico del mondo. E c’è chi gli ha dedicato un libro intero.
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Belle parole
/Ora blu/
Espressione che ha origine dal francese l'heure bleue e viene usato sia nella poetica che nella fotografia per indicare l’attimo che precede il crepuscolo, con la sua inconfondibile luce azzurra. In questo momento della giornata i fiori profumano più intensamente e gli uccelli cantano più forte. Ogni sera una festa - o una furia - prima che cali la notte.
“Che esiste una cosa come la cruda, incontaminata, immotivata gentilezza.”
David Foster Wallace
È sempre un piacere leggerti oserei dire "viverti" perché nei momenti che racconti mi sembra di esserci.Li' seduta con te a orrervare ,vederne i colori ,sentirne il profumo , accogliere quel momento e farlo mio .....e far nascere ricordi .Quel nonno l' ho immaginato come mio papà.GRAZIE