Una volta un ex collega mi ha detto queste parole che mi sono sembrate così illuminanti che mi ricordo ancora com’era vestito quel giorno: “più vai avanti a perfezionare un progetto più in realtà vai indietro, nel senso che prima aggiungi e poi inizi a togliere finché non raggiungi l’essenza”. Lui si riferiva a un progetto di architettura di cui si era occupato, ci aveva sbattuto la testa così tante notti che aveva scavallato lo sfinimento raggiungendo quella lucidità che pare quasi un’epifania. O un’allucinazione, a volte la differenza è poca. Il risultato è stato eccellente, tanto che il suo progetto ha vinto numerosi premi e riconoscimenti in ambito architettonico.
Da quel giorno ho interiorizzato la sua filosofia e mentre sono nel processo di progetto, cioè mentre lo sto creando, come succede ad esempio per Morbido, ho la consapevolezza che tutto quello che sto facendo di sbagliato o raffazzonato svanirà, e rimarrà solo la purezza. I dettagli saranno i suoi riflessi, pochi e nei punti giusti e quando penserò a Morbido non avrò in testa un polpo con i suoi tre cuori e otto braccia che cambia colore in base alla situazione in cui si trova, ma uno di quei sassi che amo raccogliere in riva: lucidi di mare, tondi, con quelle venature uniche che mi ricorderanno il momento esatto in cui li ho trovati. Sì certo la differenza è che il polpo è vivo, si muove in tutte le direzioni, cresce, è imprevedibile. Vorrei che voi sapeste sempre cosa cercare dentro Morbido, che lo apriste per leggerlo proprio per trovare quello: il sasso.
Togliere e (r)aggiungere
Il liceo artistico l’ho fatto dalle suore, le nostre gite prevedevano principalmente chiese e musei di arte sacra. Ricordo che a Parigi ci muovevamo in bus da una chiesa all’altra, tant’è che per vedere Pigalle e provare l’ebbrezza della Métro de Paris siamo dovuti scappare dal controllo di Suor Marianna, detta affettuosamente Suor Panda per i colori della divisa e le occhiaie, rischiando la sospensione. Comunque in seconda liceo ho visto da vicino la Pietà Rondanini. Ecco un’altra epifania: nell’ultima opera prima di morire Michelangelo aveva creato l’incredibile, che la Cappella Sistina è niente a confronto (no vabbè forse qui sto esagerando). Che se avete in mente la Pietà più famosa ecco, questa è l’opposto: una scultura di nemmeno due metri grezza, ruvida, si vede il segno dello scalpello dappertutto, Gesù ha un occhio solo e la Madonna mezza bocca. La sua bellezza è nella disposizione dei due corpi: non si capisce chi sorregge chi. Se la guardi da un lato sembra che lui si porti sulle spalle lei, se guardi solo le gambe di lui, unica parte levigata, sembrano inermi e quindi dev’essere lei a sorreggerlo. Sarò ottenebrata dall’amore materno, ma io lì ci vedo esattamente quello: la dinamica del legame tra madre e figlio.
Sembra un’opera abbozzata, fatta in fretta, dove è evidente che Michelangelo ha buttato la carta vetrata, ma che in realtà tiene dentro tutta la sua ricerca. Una carriera incredibile passata a parlare col marmo, a creare affreschi che generano code e ingorghi ogni giorno dell’anno, per arrivare a questo. Nessuno di fronte a quest’opera cerca di appagare lo sguardo, piuttosto sente il cerchio che si chiude. Avanti, avanti, avanti per tornare indietro.
Non mi sto paragonando a Michelangelo ovviamente, arrivata qui mi fa ridere aver messo la mia newsletter e la Cappella Sistina nello stesso discorso, ma so che avete capito dove voglio andare a parare. Che tutto quello che c’è di perfetto e di imperfetto nel processo è già passato. Ed è il motivo per cui andiamo avanti a fare. Non è solo la motivazione, la voglia di migliorarsi, è la consapevolezza che ogni cosa che facciamo appartiene al passato. Ma anche che se non fosse lì, noi non saremmo qui a fare qualcosa di nuovo.
Caspita, mai e poi mai avrei pensato di inserire un’opera d’arte sacra nella mia newsletter, mi precipito nel profano: quel precisetti di Yoda diceva “Fare o non fare, non esiste provare”, mio figlio invece dice “Prova a provare!” che per me ha un significato fortissimo. Lui lo sa che sono tutti tentativi, gran parte andati a vuoto, alcuni andati a segno. Non solo accoglie, ma incoraggia la mia vaghezza e mi sta a guardare mentre ci provo, mentre fallisco. Proviamo a provare insieme mille volte ancora. L’ennesimo tentativo sarà quello perfetto, intanto ci divertiamo così.
Quell’improvvisazione nel calcolare gli ingredienti di una torta, è tentativo o sapienza?
Quella capacità di vestirsi al buio per non svegliare nessuno la mattina presto, è noncuranza o abitudine?
Quando scrivo e pubblico qualcosa senza rileggere è esperienza o incoscienza?
Fortunatamente non tutti stiamo a pensare al senso di ogni cosa come purtroppo capita a me, ma ogni gesto che facciamo può avere diverse interpretazioni: una nel momento e una nel percorso. Qual è il contesto giusto in cui leggerla? Secondo me lo scopriamo solo quando smettiamo di chiedercelo.
E se viviamo la vita come la nostra opera d’arte, come il nostro progetto più grande che di fatto è, conviene che iniziamo a togliere.
Una cosa bella che mi è successa questa settimana: sono stata intervistata da Alice Avallone per BUNS sulle forme della gentilezza. Rispondere alle sue domande è stato un viaggio dentro la missione di Morbido, e anche un po’ (tanto) dentro di me. Se avete cinque minuti per leggerla, la trovate qui.
Zollette
Piccole dosi di gentilezza
Visto che ho parlato di polpi (che amo e non mangio), non potevo che scegliere questa selezione di albi illustrati sui polpi, tra cui uno che non sa nuotare, uno gentile e un fuggitivo.
La strofa “I just believe in me, Yoko, and me” mi fa sciogliere ogni volta.
God di John Lennon è una canzone bellissima oltre che profondamente condivisa (da me). Anche se nel portafogli ho l’immaginetta di Elvis. Mea culpa.Come ogni anno i meravigliosi scatti di Wildlife Photographer of the Year mi lasciano a bocca aperta. Non saprei davvero scegliere il mio preferito, provateci voi : )
Belle Parole
/Vaghezza/
Una parola con tre significati e usi, molto diversi tra loro:
1. L’essere indeterminato, incerto, poco preciso “Accennare con vaghezza”
2. Bellezza, leggiadria, grazia “Volto di una incantevole vaghezza”
3. Desiderio, voglia “Mio padre ebbe vaghezza d’uscire”
Qual è la vostra vaghezza?
Grazie per avermi letta fino a qui, ti auguro una bella domenica.
A presto
Valentina
Grazie Andrea che trovi sempre il tempo per Morbido
☺️
Quel "prova a provare" me lo tengo stretto. Che bella l'intervista per BUNS, mi sono appuntato un sacco di cose; e grazie per avermi citato anche lì dentro, Valentina!