Parliamo di come preparo queste newsletter. Di solito leggo, sento, vedo in giro qualcosa che accende una lampadina e innesca il circuito elettrico di connessioni che portano a una riflessione. Di solito questo dovrebbe accadere entro il lunedì per avere il tempo di prepararla e rifinirla entro la domenica mattina, giorno in cui Morbido viene recapitata nelle vostre caselle di posta (tra l’altro, grazie che la aprite e leggete). La maggior parte delle volte però non capita nei tempi che decido io, ma completamente a caso. Tipo: mi sveglio nel cuore della notte e inizio a scrivermi mentalmente la newsletter sperando di ricordare tutto al mattino dopo. Al risveglio mi ricordo vagamente una traccia e se sono fortunata trovo il tempo per scriverla prima che voli fuori dalla finestra.
Più spesso mi succede il venerdì sera, sotto consegna, perché mancano meno di 48 ore all’invio. E quindi trascorro il poco tempo libero che ho nel weekend per prepararla, e in quei casi sento come se il risultato fosse migliore di quando la preparo in largo anticipo. E mi ritrovo a chiedermi: è stata l’ispirazione o la pressione per la deadline? O forse le due cose sono collegate? Me lo chiedevo anche al liceo quando stavo sveglia di notte a finire le tavole per la mattina dopo, nella speranza che si asciugassero prima di infilarle nella cartelletta. I risultati erano così buoni perché mi spremevo come un limone per ottenere il massimo in poco tempo? O il silenzio, il buio e il fatto che tutti in quel momento stessero dormendo, mi permetteva di dilatare il tempo e lo spazio fin dove mi serviva? Quante domande, ora la smetto.
Penso che entrambi i casi abbiano un denominatore comune: l’ispirazione. Non esiste pressione, buio o silenzio che funzionino senza di lei. Ed evidentemente il mio spirito è più in ascolto nelle ore serali o la mattina molto presto.
Qualche anno fa mi sono imbattuta in questo TED talk di Elizabeth M. Gilbert sul “Genio creativo”. Per chi non la conoscesse, lei è autrice del best seller “Eat, Pray, Love” da cui hanno tratto il famoso film con Julia Roberts e Javier Bardem.
Nel suo discorso racconta che nell’Antica Grecia e Antica Roma non si pensava che la creatività venisse dagli uomini, ma che fosse uno spirito divino che in qualche modo entrasse in contatto con loro per ragioni sconosciute. I greci chiamavano “demoni” questi spiriti guardiani della creatività. Socrate ad esempio credeva di avere un demone che elargiva saggezza da lontano.
I Romani erano della stessa idea, ma chiamavano quella specie di spirito un genio, una specie di entità divina che viveva nei muri dello studio di un artista e che usciva quando lui non era in casa, per modellare le sue opere d’arte.
Ecco, quest’idea creava una distanza tra l’artista e il suo operato, un costrutto psicologico che proteggeva l’uomo dal risultato del suo lavoro: se era eccezionale non poteva prendersene tutto il merito perché si sapeva che era stato aiutato da un genio incorporeo. Se falliva, non era colpa sua, era il suo genio a essere un incapace.
Poi il Rinascimento cambiò tutto, mise l’uomo al centro, le creature mitiche scomparvero e le persone cominciarono a chiamare gli artisti “geni” in quanto individui talentuosi e creativi, capaci di immensi capolavori.
Secondo Elizabeth M.Gilbert questo fu un grande errore perché “permettere a una semplice persona di credere di essere l'essenza e la sorgente di tutti i misteri divini, creativi, inconoscibili ed eterni sia una responsabilità un filo troppo grande da dare alla fragile psiche umana. È come chiedere a qualcuno di ingoiare il sole: deforma e distorce completamente l'ego e crea tutte queste ingestibili aspettative sulla performance.”
Mi piacerebbe chiedervi come funziona il vostro processo di creazione. Se è sempre frutto di grande ricerca, impegno, costanza, se ci sono condizioni particolari in cui riuscite a esprimervi al meglio, e se e quanto spesso vi capita di “sentire” l’ispirazione. Perché per quanto mi riguarda è un processo completamente irrazionale, e sì, a volte quasi paranormale. Mi arriva qualcosa dal nulla, come un lampo nel cielo, e le mie mani sentono il bisogno di tradurla in parole.
Nel già citato incontro recente con la poetessa Vivian Lamarque qualcuno nel pubblico le ha chiesto come funziona il suo fare poesia, che modelli e influenze ha avuto, come si è formata… e lei, dopo un attimo di perplessità, ha risposto con candore che a 10 anni, quando ha scoperto un grande segreto della sua famiglia che la riguardava, ha iniziato a scrivere poesie e non ha mai smesso. Ha sentito il bisogno di formare quei pensieri sulla carta e in quel modo. Non esisteva una risposta alla domanda di quel curioso signore, sembrava che per lei fare poesia - eccellente poesia, aggiungo - fosse la cosa più spontanea e naturale del mondo come respirare, e allo stesso tempo una necessità. Come se lei fosse “agita” da qualcosa di innato.
Un’altra celebre poetessa, Ruth Stone, alla stessa domanda rispose che da bambina, mentre lavorava nei campi, sentiva la poesia arrivare dal paesaggio. Diceva che era come un fragoroso treno d'aria che faceva tremare la terra sotto i suoi piedi e la cosa che a quel punto sentiva di dover fare era “correre come una matta” verso casa, mentre veniva inseguita da questa poesia, per prendere carta e penna a trascriverla il più in fretta possibile. Altre volte non riusciva a essere abbastanza veloce, così la poesia le passava attraverso e la perdeva, e avrebbe continuato a rotolare cercando, come diceva lei "un altro poeta."
Penso ai compositori che per me rappresentano la magia pura quando muovono le mani sugli strumenti con gli occhi chiusi. Isolando i sensi riescono ad “ascoltare” meglio la musica che risuona nella loro mente, a catturarla e tradurla.
E attenzione, non sto dicendo che il talento e l’arte non siano frutto di studio, fatica, sforzi, impegno, sacrifici, ma che non ci sarebbe bisogno di tutto questo se non ci fosse, in partenza l’ispirazione. Da qualche parte ho letto che quando nasciamo ci viene “piantato” dentro un talento per una ragione, ed è nostro diritto coltivarlo. Ecco io penso che la creatività sia così, ce l’abbiamo piantata dentro e a volte si risveglia, magari nei momenti più inaspettati e ci chiede di starla a sentire. Da piccoli la assecondiamo liberamente e man mano che cresciamo anche il dialogo con lei matura, iniziamo a capirla, a controllarla a volte. E impariamo a farlo attraverso l’impegno e l’esperienza. Noi non siamo la nostra creatività, ma sappiamo o non sappiamo ascoltarla. Sappiamo o non sappiamo tradurla. O magari non lo riteniamo necessario.
Tornando a come faccio questa newsletter, spesso ne discuto con il mio compagno Gaël che mi dà degli ottimi punti di vista, meno “morbidi” dei miei e per questo necessari. Su questo tema, a lui molto caro, ho pensato di dargli un piccolo spazio, come se fosse una rubrica, un po’ meno morbida. E quindi ecco a voi:
Ruvido - di Gaël Moscarà
In fondo, a chi non piacciono la creatività e i creativi? A me, ecco a chi.
Perché il marketing, mentre si allenava a mangiarsi il mondo, ha iniziato da se stesso per prendersi anche questo. E allora ecco le aziende che si definiscono "agenzie creative", come se dire agenzie di comunicazione o di pubblicità non fosse abbastanza. E poi i job title: "cosa fai nella vita?" "Il creativo". Come se si spiegasse da solo, e invece no, perché per me potrebbe essere un cuoco, un architetto, un giardiniere, no? Invece le agenzie si arrogano il monopolio della creatività, l'antonomasia, e la verità è che lo fanno per compensare, con la gratificazione romantica, lavori sottopagati, orari discutibili e la sensazione strisciante di dedicare gran parte della giornata a cose inutili. Ma la cosa peggiore è quando la creatività viene trasformata in una creatività: è così che nel linguaggio delle agenzie vengono definite gli oggetti prodotti dai creativi (immagini, post social, video, affissioni). "Trovate le creatività in allegato" "Quante creatività ti servono?" "Il cliente ha comprato il concept ma non è convinto della creatività". Chiamare creatività un file .jpeg è come chiamare "accoglienza" una camera d'albergo o "simpatia" una barzelletta. Basta vi prego.
La creatività è bella perché è senza forma, è libera e appartiene a tutti, è un universo di possibilità, se volete che abbia un posto nella vostra vita, iniziate a rispettarla.
Torniamo all’aggettivo, che ci piace di più
Non tutti si sentono creativi o hanno scelto professioni in quella direzione, ma tutti lo siamo stati: da bambini non abbiamo perso un’occasione per creare, costruire, disegnare, modellare, smontare e ricreare.
Nell’ultima newsletter di Nina Gigante, ho letto questa frase di Louise Glück “Guardiamo il mondo una sola volta: durante l'infanzia. Il resto è memoria”: la scoperta e la creazione sono strettamente collegate, esperienze di sopravvivenza e crescita che hanno fatto parte di ciascuno di noi, selvaggiamente, per un grande periodo della nostra vita. L’età adulta ci ha tolto il divertimento e ciascuno di noi ha trovato dei luoghi personali per coltivare la propria creatività: ai fornelli, nel bricolage, nel giardinaggio, attraverso i viaggi o le collezioni di oggetti.
Eppure sento tante persone dire “non sono per niente creativo!” o “è lei quella creativa della famiglia”. Non è vero, lo siamo tutti, ma qualcuno tende a concedere meno spazio di altri alla creatività. Per qualcuno è necessario e vitale ascoltarla, per altri meno.
Piccole cose dal nulla
Di recente su una rivista ho letto un articolo con “Sette modi per risvegliare la creatività”, allora per gioco ho raccolto i miei che più che la creatività forse rianimano la curiosità, e sono solo sei. Sono piccole azioni che metto spesso in pratica e che sto insegnando anche a mio figlio, o forse lui sta insegnano a me:
Cerca
qualcosa di nuovo ogni giorno. Mentre vai al lavoro o a fare la spesa, mentre porti i tuoi bambini a scuola, prova a individuare una cosa sul tuo percorso che non avevi ancora notato. Cambiando strada, guardando in alto o dentro un cortile o semplicemente dando attenzione a qualcosa che di solito guardi con indifferenza. Possiamo avere occhi nuovi ogni giorno.Raccogli
le foglie, i rami secchi, i fiori, i sassi. Cerca i regali della natura e osservali, guarda le caratteristiche, studiali da vicino, annusali, toccali. Sono dei micromondi che spesso ci sorprendono.
Chiudi
gli occhi e prova a concentrarti sugli altri sensi, fatti guidare da loro. A casa, al parco, in strada, in piscina. Quante persone ci sono intorno a te e cosa stanno facendo? Cosa sta cucinando quella del piano di sopra? L’erba è asciutta o bagnata? Spesso sottovalutiamo i nostri sensi in favore di quello dominante, la vista, ma il racconto che ci riportano gli altri è molto più affascinante e completo.
Apri
un quaderno, prendi una matita colorata e scrivi o disegna la prima cosa che ti viene in mente. Poi quella dopo e quella dopo ancora. Va avanti così, seguendo il flusso dei tuoi pensieri per un po’. Puoi alternare disegni a parole, anzi è anche più bello. Il risultato sarà una brillante istantanea della tua mente in quel momento. Non vale cancellare!
Prepara
un tè. Ma non con la velocità della luce di chi sta perdendo il treno delle 8:02, ma di un saggio giapponese che sta facendo la cerimonia del tè. Le bustine ci hanno tolto tanto piacere, ma il tè è “un’essenza che ci attraversa”, trattiamolo come tale. Cura ogni azione con delicatezza e precisione, guarda il vapore, l’acqua che cambia colore, e metti in infusione anche i tuoi pensieri.
Leggi, leggi, leggi, leggi. Più che puoi.
Una cosa bella che mi è successa questa settimana: ho incontrato Valeria De Cicco, fotografa, videomaker e fondatrice di Spazio Supernova, un posto grande e bellissimo a Monza, che accoglie eventi, workshop, laboratori per grandi e piccoli. Mi ha anticipato che domenica 1 dicembre ci sarà il Mercatino di Natale con 27 artisti e artigiani (o forse dovrei dire creativi?) con le loro meraviglie in formato regalo. Se passate di lì ci vediamo!
Zollette
Piccole dosi di gentilezza
Fiore mio è un film scritto, diretto e interpretato da uno dei mie autori contemporanei preferiti, Paolo Cognetti. Parla di natura, ghiacciai a rischio, solitudini e relazioni e sarà nelle sale solo per tre giorni (25, 26 e 27 novembre), conviene non perderselo.
La fabbrica dei colori di Hervè Tullet è un’inedita guida ai laboratori per bambini, pensata per gli adulti. L’autore spiega a genitori, educatori e insegnanti come allestire i migliori laboratori artistici per bambini. Utile per le vacanze di Natale.
Serena Mabilia, illustratrice che ho intervistato qualche mese fa, ha confezionato un dolcissimo regalino di Natale per chi la segue. Basta commentare con un piccolo abete per riceverlo anche voi.
Belle Parole
/Hirameki/
È una pratica giapponese che letteralmente di può tradurre in “lampi d’ispirazione” e insegna a sviluppare la creatività partendo dalle macchie d’inchiostro: basta aggiungere qualche tratto di penna per trasformare in piccole illustrazioni.
Io lo faccio spesso con mio figlio ma non sapevo avesse un nome, noi li chiamiamo “mostrini” e sinceramente mi piace anche di più.
La creatività è l’intelligenza che si diverte.
(Albert Einstein)
Essere presente nel momento, la tanto agognata mindfullness che è molto mainstream ma funziona, consente di cogliere infinite scintille per la nostra creatività.
La creatività per me è empatia, apertura, attenzione,. Chi ha la mente è il cuore "aperto" pulsante, reattivo sa cogliere e trasformare,. Basta un gesto, un ricordo, un impulso, un sorriso, una lacrima e tutto ciò CREA