“Non sapendo quando l'alba possa venire
lascio aperta ogni porta,
che abbia ali come un uccello
oppure onde, come spiaggia.”
E.Dickinson
La mia stanza di quando ero bambina esponeva a nord. Al centro della parete di fronte alla porta, una finestra dalla quale non entrava mai luce diretta. C’era un termometro sul davanzale che anche ad agosto segnava i 24 gradi dell’ombra umida da quel lato della casa.
Il nostro appartamento si trovava al pianterreno, circondato da un giardino condominiale piccolo e ben tenuto. Un bel vialetto in cemento girava intorno al palazzo, una distesa di ghiaia davanti ai box, tre grandi pini a schermare il fronte strada e una fila di platani vicino alla spazzatura condominiale.
Affacciandomi alla mia finestra vedevo le saracinesche verde scuro dei box e dietro, a raccontarmi le stagioni, i platani. Al risveglio aprivo gli occhi e vedevo le chiome verdi, di quel verde nuovo che brilla nella luce primaverile. Oppure gialle e stanche, che fremevano sotto la pioggia fine e fitta di novembre. Da allora ho sempre desiderato dormire in una camera da letto con gli alberi a riempire le finestre.
Nei giorni freddi di ottobre la mia alba era il profumo dell’osmanto. È il profumo di un fiore bianco, persistente (i fiori bianchi sono quelli che profumano più di tutti), fresco e pungente come il limone combinato al dolce della magnolia. È una fragranza invadente, così presente che ti sembra quasi di vederlo brillare nel crepuscolo di ottobre. È il profumo della fine dell’estate, dell’inizio dell’autunno, di quella settimana in bilico tra le due. Il fatto di non vederlo in giardino, ma di sentire la sua presenza mi piaceva, perché per me rappresentava un mistero.
All’inizio questa newsletter doveva chiamarsi così, Osmanto, poi però ho pensato che avrebbe significato qualcosa soltanto per me, restringeva il campo. Ma in generale sono rimasta legata all’idea di alba, di mattina e di tutto quello che porta con sé. Nel mio caso era l’osmanto, oggi la faccia morbida e calda di sonno di mio figlio. E poi diventa tutto un rocambolesco susseguirsi di azioni per portare a casa la giornata senza rischiare perdere per strada le chiavi, la borsa, la testa.
Però quell’attimo lì, quando apri gli occhi e tutto deve ancora cominciare, è un bellissimo momento di potenziale. Come l’attimo prima del via a una gara, o quando si spengono le luci in sala e sta per iniziare lo spettacolo, oppure quando sai che l’aereo sta per atterrare e aspetti l’impatto sulla pista. Sta per. Quanta aspettativa.
Qualche giorno fa ascoltavo un’intervista a Michela Murgia in cui diceva che gli amici che ti fai quando hai 16 - 18 anni hanno una qualità irripetibile, perché sono testimoni di quando potevi ancora essere tutto. Per me la mattina ha quella forza lì, di essere tutto. Non a caso Schopenhauer la definiva la giovinezza del giorno. E allo stesso tempo è un momento così delicato, intimo. Basta un rumore troppo forte, il pavimento troppo freddo o un caffè troppo amaro per incrinare l’umore. Questo intreccio di potenziale e fragilità la rende così affascinante che per me sta un po’ tutta lì la soluzione del giorno. In quel momento sospeso decidi come muoverti oggi nel mondo. Se come uccello, onde o spiaggia.
Tre pagine al giorno
Forse avrete sentito parlarne delle “Morning Pages”. Si tratta di un potente strumento creativo - ma non solo, direi terapeutico - proposto da Julia Cameron, autrice del libro “The Miracle of Morning Pages”. Secondo Cameron, scrivere tre pagine di diario ogni mattina è essenziale per coltivare la creatività e la crescita personale. Non importa che formato o quanto scrivi grande, basta che siano tre. L’autrice promette che queste pagine di scrittura a mano e di flusso di coscienza “chiariscono, confortano, esortano, stabiliscono le priorità e sincronizzano la giornata”.
Un diario insomma, niente di nuovo sotto il sole. Ma al contrario di altri journal che vengono compilati con missione terapeutica o per far pratica con qualcosa (scrittura, autoanalisi, emozione) la forza delle tre pagine sta nella ripetizione del gesto senza bisogno di raggiungere nessun obiettivo. La sua forza sta proprio nell’osservanza del rituale stesso.
Chi ha provato a mettere in pratica questo esercizio dice che Morning Pages dimostra che la qualità è spesso funzione della quantità: non c'è tempo per giudicare ogni idea, per metterla a punto prima di scriverla, e il risultato è che le idee fluiscono più liberamente senza essere ostacolate dalla morsa del perfezionismo. O trattenute dal nostro severo giudizio. Le idee che ne vengono fuori sono tante e alcune anche molto buone, seppur semplicemente abbozzate.
Io non ci ho ancora provato a scrivere le tre pagine del mattino. A dir la verità oggi per me sarebbe impossibile trovare il tempo di farlo. Scrivo diari da quando avevo 12 anni e per me è sempre stato un bisogno espressivo più che altro. Ma oggi penso che il senso di tutto questo sia lasciar prendere aria ai pensieri (e qui il verbo “lasciare” è la racchiude tutto il concetto). Sarà per quello che lascio sempre aperte le finestre di mattina, anche quando fuori fa molto freddo. Mi aiuta a pensare. E poi mi è venuto in mente di quella volta che ero a scuola, in prima elementare, e durante l’ora d’arte ci siamo accorti che c’era una mosca in classe. La mosca ronzava e sbatteva, sbatteva e ronzava, Suor Fiorenza - scalatrice altoatesina - si è precipitata ad aprire la finestra ma la mosca è rimasta aggrappata al vetro dal lato interno. Noi bimbi volevamo aiutarla a uscire ma la suora ci ha detto di non toccarla, che avrebbe sentito l’aria e avrebbe così trovato la sua strada.
Zollette
Piccole dosi di gentilezza
Window Swap è un sito che ti permette di affacciarti a una finestra da qualche parte del mondo in modo completamente casuale. E si può inviare anche la propria vista.
Sempre in tema affacci, questo libricino di Ettore Sottsass raccoglie 28 istantanee di “un mondo nascosto, che nessun altro ha saputo vedere.”
C’è stato un bel periodo della mia vita in cui scattavo foto dalle finestre nei posti che visitavo. Poi ne segnavo le coordinate e caricavo tutto qui: Morning Postcards
Belle parole
/Gökotta/
È una parola svedese che significa svegliarsi presto alla mattina e uscire ad ascoltare il canto degli uccelli. Iniziare la giornata così, secondo gli svedesi, non solo rende più sereni e in equilibrio con ciò che ci circonda, ma aiuta anche ad affrontare la giornata con gioia.
Grazie per avermi letta fino a qui, ti auguro una bella domenica.
A presto
Valentina
Quello "stare per" è un'intercapedine vitale. Grazie per averlo raccontato così bene.
Ho adorato questa newsletter 💕 mi hai fatto tornare alle mattine d’estate quando fuori si sentono già le cicale e sai sarà una giornata torrida o quando da piccola, al mare, sentivo il temporale avvicinarsi dal rumore che facevano gli alberi delle barche battuti dal vento. Per me è sempre stato più sentire che vedere…